Il primo trauma che affrontano solitamente le famiglie con bambini disabili, soprattutto quelle che hanno diagnosi di autismo per i loro figli, è il grave distacco relazionale con la loro creatura. Quel bambino amato, desiderato, pensato e voluto che non riesce a comunicare con noi come vorremmo, che pensa e si comporta come non ci aspetteremmo mai, che vive separatamente da noi quando ancora è troppo piccolo. Questi sono i primi segnali che mandano in tilt una famiglia. Si cade letteralmente nel baratro, concentrandosi sulla colpa, sui motivi della disgrazia, sulle possibilità dell’errore, e la solitudine avviluppa sempre di più. Incomprensioni familiari, parentali, amicali. Poi qualcuno va via, spesso il padre che è l’elemento più debole della coppia. E poi?
I rimorsi, le speranze, le attese, ...ma questa è la vita e chi rimane vivo deve combattere.
Nel caso della nostra famiglia, invece, la condizione di disabilità di nostro figlio Luca ha rinforzato il nostro legame per affrontare la nuova sfida.
La fase dello stravolgimento e di un eventuale riassetto familiare avvengono solitamente poco prima dell’ingresso alla scuola dell’infanzia, poiché l’esordio del disturbo avviene intorno a quell’età.
I genitori dunque che si affacciano al primo segmento scolastico, sono già “in guerra” contro l’autismo del proprio figlio e contro tutti coloro che fraintendono la cura per iperprotezione o pretendono ascolto volendo rimanere ignoranti.
La resistenza alle avversità ed ai cambiamenti in genere, costituiscono la palestra quotidiana per le famiglie con autismo, e quivi si allenano per combattere la battaglia più cruenta: la vita.
Il modo più efficace per combattere è l’informazione, lo studio, l’applicazione, l’osservazione. Molti tra questi genitori diventano veri e propri esperti dell’autismo del proprio figliuolo, con una conoscenza degli atteggiamenti, dei comportamenti, del linguaggio del proprio figlio assolutamente profonda e precisa.
E' essenziale dunque potenziare la famiglia, come indicato per altro dalla 1^Raccomandazione dell'ISS (Istituto Superiore di Sanità) nelle sue Linee Guida n. 21 sull'autismo, per entrare in contatto ed operare correttamente con il proprio figlio.
Potenziarsi significa dunque, non solo studiare la generalità dei casi in letteratura e le caratteristiche generali della sindrome, ma applicare tutto ciò alla peculiarità della propria famiglia.
Ecco che, questo potenziamento permette ed obbliga noi genitori di bambini autistici, a fare molte cose in modo diverso da come le facevamo prima, diventando esperienza utile, conoscenza e poi abilità (che diviene competenza) che ci permette di gestire in modo sempre più efficace e proficuo, la quotidianità dei nostri figli.
Ed è proprio perché io e mio marito abbiamo colto l’invito all’”empowerment”, che la testimonianza della nostra esperienza è richiesta in diverse realtà d’Italia.
Ma cosa accade quando si entra a scuola ? C'è realmente un dialogo fra scuola e famiglia ?
Il dialogo è difficile, ma non impossibile, dipende dalla volontà da ambo le parti.
Noi possiamo imbatterci in due casi: il primo, dove i genitori non si sono potenziati, per loro motivazioni personali, e quindi affidano totalmente la loro vita e quella dei loro figli, ai clinici e spesso all’ignoranza di una scuola colpevolmente impreparata. Oppure nel secondo caso, assistiamo a situazioni in cui i genitori sono altamente formati sull’autismo del proprio figlio e quindi lavorano alla pari di altre figure all'interno del contesto abilitativo.
Talvolta ci imbattiamo anche in un terzo caso, quello in cui i genitori sono esperti sull’autismo del proprio figlio e si debbono necessariamente interfacciare con persone non formate e che non intendono collaborare con la famiglia.
Questo è un caso limite, poiché penso che, così come la scuola, anche le altre istituzioni vedano ed accolgano di ottimo grado un aiuto dall’esterno, quando appunto si trovano a collaborare con genitori potenziati e preparati ad affrontare la sfida dell'istruzione scolastica del proprio figlio autistico.
Vi sono invece anche casi dove la presunzione della scuola la fa da padrona e, quando si scontra con l’umiltà di genitori debitamente potenziati, si rischia lo stallo per l’alunno. Poi, come sempre, subentra il buon senso da almeno una delle due parti che evita la degenerazione della situazione. Ovviamente neppure questo atteggiamento giova all’alunno, poiché il nuovo ambiente non diventa né accogliente né comprensivo totalmente. Se si rifiuta la comprensione profonda del bambino con autismo, tutte le energie spese alla sua abilitazione, saranno ben presto vanificate. Quindi, come più volte ribadito, è necessaria una concertazione di intenti, conoscenze ed opere se davvero è nostra priorità l’abilitazione di questi soggetti.
Con la Scuola Nordio, andiamo proprio in questa direzione, ecco il motivo per cui abbiamo creato una procedura di “comprensione scolastica per gli alunni con autismo”.
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