Molti genitori si lamentano della scuola per i più svariati motivi, ma rimangono inascoltati.
Secondo l'analisi critica dei pedagogisti italiani, sembra che vada tutto benissimo. Com’è possibile questa discrasia?
Ancora. Si parla di fabbricati inadeguati, scarsità di organico e mezzi..., ma è davvero questo il motivo per cui la scuola pubblica non funziona?
Così come è incomprensibile il silenzio dei pedagogisti, altrettanto lo è la mancanza di analisi critica, da parte loro, sulle didattiche impiegate nella scuola pubblica italiana. Essi sembrano invece più propensi a giustificare il triste periodo che sta vivendo la scuola, con congiunture economiche, sociali, strutturali più o meno felici.
Quel che osservo è che troppo spesso lo slogan della “libertà educativa” ha assunto il significato più concreto di “non mettiamo in discussione l’educazione corrente”.
La storia della pedagogia ci ha offerto numerosi maestri di diversa ispirazione, eppure certe scuole di pensiero sono state totalmente abbandonate prediligendone esclusivamente altre. Questo è stato un grave errore che ha fatto la scuola italiana che si è volontariamente privata e depauperata di un inestimabile tesoro didattico, pedagogico, educativo.
Inoltre mi chiedo quale sia oggi il rapporto tra le due principali agenzie educative: nell’ordine la famiglia e la scuola.
La spiegazione della disarmonia tra queste due istituzioni ritengo sia da individuarsi nel voluto e ricercato scollamento tra le due.
Se negli anni 50 famiglia e scuola concordavano sui valori educativi e morali da insegnare ai fanciulli pur rimanendo ognuna nel proprio ruolo, oggi assistiamo a sistemi “educativi” dissonanti: da una parte la scuola attenta alla burocrazia, ai progetti, alle nuove didattiche, alle nuove politiche, alla conservazione di uno standard qualitativamente sempre più scadente, dall’altra la famiglia che cerca nella scuola un parcheggio, gratuito o a pagamento che sia, purché custodito e senza grattacapi. Laddove le domande dell’una non incontrano le risposte attese dell’altra, assistiamo ad un corto circuito della macchina, cioè del bambino. E allora ecco emergere un’inflazione sempre più considerevole di “certificazioni” di disturbi dell’apprendimento, disturbi dell’attenzione e così via.
Ed è qui che entra in scena una nuova figura nella scuola, quella dello psicologo, che invece di rilevare le discrepanze tra i due sistemi educativi, ravvisa invece diagnosi sempre più raffinate, obbligando bambini ed insegnanti a seguire la strada del PDP.